Mitsuyasu Hataketa, Caterina Dondi, Tera Drop
Sede: Museo Nazionale di Ravenna
A cura di: Emanuela Fiori e Alessandra Carini
Inaugurazione: giovedì 6 ottobre | Ore 17.00
Periodo: 6 ottobre 2022 - 27 novembre 2022
Orari: martedì, giovedì e venerdì 8.30 – 19.30, mercoledì 14- 19.30, sabato e domenica 8.30- 14, prima domenica del mese 8.30- 19.30, lunedì chiuso
Ingresso: intero € 6; under 25 anni € 2; fino ai 18 anni gratis, Ingresso gratuito 8 ottobre e il 6 novembre
Il Museo Nazionale di Ravenna, insieme ad Equidistanze Residenze Artistiche, presenta “Nello spazio”, evento con tre artisti emergenti che espongono con opere site specific nell’ambito della VII edizione della Biennale di Mosaico Contemporaneo.
I tre artisti sono stati chiamati a intervenire in spazi caratteristici del museo, e le loro opere si misurano con gli ambienti architettonici e naturali presenti nei primi due chiostri dell’antico complesso monastico di San Vitale. Le curatrici hanno inteso così contribuire agli obiettivi della Biennale che, con l’apertura dei luoghi più suggestivi della città ad artisti provenienti da tutto il mondo, coinvolge con eventi mirati i monumenti e gli spazi urbani, “gallerie d’eccezione” in cui arte antica e contemporanea si pongono in fertile dialogo.
L’evento espositivo, a cura di Emanuela Fiori e Alessandra Carini, si colloca all’interno della Biennale in una visione di ricerca e sperimentazione, uscendo dai canoni del mosaico tradizionale e puntando su artisti emergenti che lavorano in Italia.
Caterina Dondi, milanese classe 1998, da tempo indirizza la sua ricerca sullo studio degli spazi e come essi si modifichino in base agli oggetti. L’artista parte dall’idea che immettere un nuovo oggetto in un luogo sia estremamente invadente, così interviene delicatamente per non creare rotture ma piuttosto continuità con l’ambiente circostante. Le sue opere si mimetizzano, vengono assorbite dal luogo che le ospita, si nascondono nelle nicchie e negli anfratti, fino quasi a scomparire: “Secondo il mio punto di vista riuscire ad adattarsi a uno spazio significa prendere coscienza che ad ogni azione corrisponde una reazione. Possiamo estendere questo discorso, dell'assecondare quello che già̀ esiste, alla vita dell'uomo sulla Terra. Continuiamo a stravolgere l'ambiente e ora sarebbe quasi impossibile pensare di invaderlo delicatamente anche perché́ abbiamo dimenticato com'era lo spazio primario, quello all'inizio di tutto”.
Mitsuyasu Hatakeda, nato ad Osaka nel 1974, vive e lavora in provincia di Brescia. Anche Hatakeda lavora sull’oggetto, supportato dall’idea diffusa in Giappone che anche le cose abbiano un'anima, soprattutto le cose che sono state usate per molto tempo. L’artista lavora con vecchi fili di ferro recuperati nelle nostre campagne e compone volti, corpi e oggetti che richiamano un luogo o una persona particolare. Hatakeda usa fili di ferro molto grossi che piega sapientemente con l’uso delle mani: “Ho pensato alla bellezza della linea per molti anni. Una bellezza rarefatta con linee il più̀ possibile ridotte. Voglio disegnare una linea bella, anzi, non voglio disegnarla, voglio trovarla e capirla e plasmarla. Voglio trovare una linea, un filo di ferro che è stato usato per molti anni su un campo coltivato e ha raggiunto il suo scopo in quel campo, per trasformarlo in qualcosa che commuova il cuore. Questo tema è nato quando ho visto una matassa di filo di ferro che stava per essere buttato e ho pensato: che spreco gettare una bella sensazione di ruggine! Così l’ho preso e l'ho fatto rivivere come una figura umana”.
Pietro Vitali, in arte Tera Drop, classe 1994 vive e lavora tra Bergamo e Milano.
Cresciuto in una famiglia di costruttori edili viene a contatto fin da subito con alcuni materiali come il ferro, il cemento, la sabbia e la terra che oggi rappresentano i suoi materiali prediletti. L’artista, come Dondi e Hatakeda, lavora sullo spazio e il rapporto dell’opera nello stesso: nelle sue opere troviamo un’attenzione quasi tassonomica per l’essere umano e l’ambiente naturale che scaturisce nell’ibridazione tra questi due mondi, moltiplicando forme che si ripetono in pattern speculari. “Vedendo i chiostri del Museo Nazionale mi è subito venuto in mente di lavorare sulle architetture parassite: molte delle colonne sono sostenute da strutture in pali innocenti che ne portano il peso e le tengono erette: vorrei installare le opere proprio nei punti deboli dell’edificio, in quei punti che nessuno vorrebbe vedere o che si pensi rovinino l’estetica di un luogo, quando invece rappresentano le ferite, le debolezze che anche gli edifici hanno e subiscono”.
I chiostri che hanno fornito agli artisti gli spazi del confronto, del respiro e dell’ispirazione si aprono all’interno dell’edificio monastico che dal 1914 ospita il Museo Nazionale e custodiscono l’atmosfera spirituale insieme ai reperti del passato. Nel primo e più antico (fine XV - inizi XVI secolo) sono disposti i reperti lapidei di epoca romana consistenti soprattutto in una ricca raccolta di epigrafi e stele funerarie. Fa eccezione, nell’angolo sud-ovest, il famoso Bassorilievo di Augusto, importante frammento della metà del I secolo. Lungo il lato sud spiccano tre portali rinascimentali raffinatamente scolpiti, che danno accesso alle della scultura romana. Dove nel VI secolo sorse il quadriportico di accesso alla Chiesa di San Vitale fu edificato quasi mille anni più tardi il secondo chiostro a serliane continue, nel corso di un progetto di ampliamento del monastero al quale lavorarono più architetti, tra i quali anche Andrea Palladio. Lungo i portici del chiostro sono collocate, per la maggior parte in ordine cronologico, testimonianze scultoree provenienti prevalentemente dal territorio ravennate che vanno dall’età tardo romana fino al Rinascimento. Lungo il lato sud sono conservati i reperti relativi ai secoli d’oro di Ravenna: arredi liturgici e architettonici attribuibili ai secoli V-VI tra i quali spiccano capitelli, pulvini, frammenti di ambone e sarcofagi in marmo di Proconneso.
Al centro del chiostro si trova la statua in marmo di Carrara raffigurante papa Clemente XII, al secolo Lorenzo Corsini, eseguita nel 1738 dallo scultore romano Pietro Bracci.